La morte di Errico Malatesta, pensatore, politico, anarchico e giornalista nonché ex direttore del giornale anarchico italiano Umanità Nova.
Gli ultimi anni di vita di Errico furono un elastico fra carcere, processi inventati, perquisizioni senza un vero senso e solitudine. Una vita passata a lottare, viaggiare. Una vita terminata rinchiuso in casa, ove fuori scorreva il veleno nero fascista. Nel 1921, finalmente scagionato da false falsissime accuse (fra cui anche Nella Giacomelli) continuò la direzione di «Umanità Nova» fino al 1922, anno in cui i fascisti presero il potere e chiusero il giornale, che sarebbe stato riaperto nel 1945 sotto forma di settimanale. In quello stesso anno Malatesta, sfuggendo al controllo fascista, si recò clandestinamente in Svizzera per assistere al cinquantenario del Congresso di Saint-Imier, quindi si trasferì definitivamente a Roma con la compagna Elena Melli e sua figlia Gemma.
Dal 1924 al 1926, nonostante il rigido controllo della censura, pubblicò il quindicinale clandestino “Pensiero e Volontà”.
Negli anni successivi il regime fascista impose a Malatesta il continuo controllo a vista da parte di un gruppo di guardie, condannandolo in questo modo ad un sostanziale isolamento dal resto del mondo e dal movimento anarchico in particolare.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita quasi completamente chiuso in casa con la sua famiglia, subendo un progressivo peggioramento delle sue condizioni di salute. Nel marzo del 1932 sopravvisse ad una grave broncopolmonite; morì il 22 luglio dello stesso anno, in seguito ad una grave crisi respiratoria.
«L’anarchia è l’ideale che potrebbe anche non realizzarsi mai, così come non si raggiunge mai la linea dell’orizzonte, l’anarchismo è il metodo di vita e di lotta e deve essere dagli anarchici praticato oggi e sempre, nei limiti delle possibilità, variabili secondo i tempi e le circostanze.»
E. Malatesta, «Repubblicanesimo sociale e anarchia», «Umanità Nova», Roma, 1922